“… Furono mesi d’ozio e di relativo interesse, e perciò pieni di nostalgia penetrante. La nostalgia è una sofferenza fragile e gentile, essenzialmente diversa, più intima, più umana delle altre pene che avevano sostenuto fino a quel tempo: percosse, freddo, paure, terrore, destituzione, malattia. È un dolore limpido e puilito, ma pungente: pervade tutti i minuti della giornata, non concede altri pensieri, e spinge alle evasioni”.
(da “La tregua” di P. Levi).
Due letture da consigliare per questi giorni, nel passaggio dal Venerdì al Sabato santo, due perle di P. Levi: “Se questo è un uomo” e “La tregua”. Gioverà accostarsi, per chi non l’ha mai fatto, al racconto di chi ha vissuto la dannazione dell’internamento nell’universo concentrazionale di Auschwitz, l’esasperazione di un ritorno pieno di incertezze, la persecuzione di un sogno che minaccia e incombe fino a spingere sul baratro del suicidio. Seguendo la narrazione pulita, mai arrabbiata, ricca di memorie dell’autore impressiona fortemente la lucida accettazione del vuoto, della mancanza di senso, insieme a questa nostalgia del Mistero, della foresta, o addirittura di quanto penosamente e soffertamente si è vissuto nel tempo del “vagabondaggio ai margini della civiltà”, “mesi che, dice l’autore, ci appaiono adesso come una tregua, una parentesi di illimitata disponibilità, un dono provvidenziale, ma irripetibile del destino”.
Come colpisce e impressiona l’assenza di senso che tanti sperimentano e comunicano in un intrecciarsi di linguaggi verbali e non verbali che non sempre riusciamo a cogliere prontamente come appelli che provengono dalla disperazione. Chissà se Levi non avesse scritto il suo dramma, oltre che per farlo conoscere, anche per chiedere aiuto?!
Viktor Frankl, psichiatra ebreo che ha vissuto come Levi lo strazio della seconda guerra mondiale in un campo di concentramento, dimostra in modo convincente che se la nostra vita non ha significato non possiamo sopravvivere a lungo. Eppure tra noi, nel consorzio umano, non sempre si respira l’aria della ricerca di senso, non sempre si avverte la forte intensità della nostalgia del Mistero. Pensiamo – possibilmente almeno una volta senza retorica – ai giovani, ancora loro, così persi, così smarriti, eppure così abituati al non senso, trasfigurati anche fisicamente e nei comportamenti dallo smarrimento, così emarginati e trascurati nel deserto delle incertezze. Non si respira nel complesso mondo delle loro relazioni umane come delle nostre, forte e netto l’odore e il profumo dell’evasione, della “ribellione alla mediocrità”. Non si respira l’aria pulita e delicata, impregnata di libertà, di sogni e di pensieri felici, nei nostri sforzi consumati per il bene dei fratelli e dei fratelli più piccoli; ogni tentativo è sempre troppo debole e poco condiviso. Eppure proviamo a conoscere da vicino, molto da vicino, l’animo di chi abbiamo accanto, le profondità più misteriosamente nascoste dei nostri fratelli; proviamo a scrutare senza invadenza e rispettosamente il cuore di un giovane, dei nostri figli. È lì, proprio lì, l’essenza, il desiderio di verità, la sete di senso, la nostalgia del Mistero, la trepidazione fortissima di un’evasione che vorrebbe spingere lontano, “una sofferenza fragile e gentile” che non riesce ad esprimersi, a venir fuori.
Ci emoziona visitare i sentimenti di Domenico, le scoperte di Alessandro, la gratitudine di Anna, l’intensa sincerità di una figlia e di una mamma; e ci vergogniamo del ritardo con cui riusciamo a gustare la preziosità di pensieri, sentimenti e parole non dette che pur avevamo già letto in tanti sguardi, ma non ancora accolto.
Sull’onda di questa vergogna e di questa emozione vorremmo lasciarvi un appello e un augurio per questa Pasqua di Resurrezione: cambiamo aria! Cambiamo aria, sfrattando dalle nostre certezze, dalla presunzione di sapere già tutto di aver fatto tutto quanto era umanamente possibile. Cambiamo aria, purificando il nostro modo di pensare troppo adulto, troppo freddo, “senza rabbia, sempre impassibile” direbbe Nicolò Fabi. Cambiamo aria, rianimando e riempiendo di senso i nostri troppi sterili rapporti umani, caricandoli di significati, di lacrime, di sorrisi, di verità. Cambiamo aria! Ancora una volta: non soffochiamo lo Spirito. Lasciamo che la Pasqua scardini le porte della nostra autosufficienza, che il Cristo morto e risorto, mansueto e forte, debole e potente ci provochi con la sua sofferenza fragile e gentile.
Cambiamo aria! Oggi è questo l’unico modo che conosciamo per augurarvi, senza retorica, una Santa Pasqua.
La comunità parrocchiale