“Quello che si vive in pochi giorni talvolta risulta essere più significativo e intenso di quello che si riesce a vivere in un anno intero . Basta tenere gli occhi bene aperti, la mente libera, il cuore in ascolto e soprattutto è necessario fotografare, non attraverso l’ausilio di tecnologiche macchine fotografiche, dotate dei più lunghi e sofisticati obiettivi per la messa a fuoco, ma cercando di catturare quei momenti che con la loro eco riecheggeranno nel tempo. Questa è stata la leitmotiv che ha accompagnato noi operatori pastorali nei tre giorni trascorsi insieme ad Orvieto, tanto brevi quanto intensi. La spina, quella stessa che ci tiene saldamente attaccati alla caotica presa radicata nel muro della realtà, che ci fa muovere freneticamente nell’instancabile vortice della routine, abbiamo cercato semplicemente di staccarla, per accorgerci che fermarci un istante o più può rivelarsi un sano esercizio grazie al quale scoprire quello che spesso dimentichiamo di aver vissuto, nonostante sia profondamente nostro. Ci siamo guardati intorno, incontrando i magnifici e verdi paesaggi dell’ Umbria, ma soprattutto ci siamo dati uno sguardo dentro, ponendoci quelle domande tanto semplici quanto intrinsecamente complicate:
“Hai mai incontrato Dio?” “L’hai mai riconosciuto?”
“E se l’hai incontrato, quanto spesso incontri te stesso? Quante volte ti riconosci in quello che mostri, che fai o che dici?”
Questi interrogativi ci hanno accompagnato come uno zaino sulle spalle, li abbiamo portati in giro per le assolate e ventose strade di Orvieto, insieme a noi hanno osservato l’imponente e spaventosa bellezza del duomo, hanno alzato il naso verso l’alto e spalancato la bocca dinanzi all’arte che prende vita nella cappella di S. Brizio, meravigliosa opera portata a termine dal Signorelli; curiosi, poi, nel monastero di Orvieto, hanno teso le orecchie per cogliere ogni parola pronunciata dalle monache clarisse, la storia delle loro affascinanti vite, rimanendone estremamente catturati e colpiti. Hanno incrociato i loro sguardi complici e durante la celebrazione della Messa, ascoltato le loro melodiose voci che si fondevano l’un l’altra quasi per magia, fino a diventarne una sola. I nostri interrogativi, infine, arricchiti di tutte le istantanee di cui i nostri occhi si sono fatti “ladri”, si sono tramutati in risposte, ci hanno dolcemente obbligati a riguardare velocemente tutta la nostra vita, come succede nei film, quando il protagonista, nell’attimo prima di morire, rivede scorrere dinanzi a sé tutte le immagini della propria esistenza, quelle degne di nota. Questo è quello che ci siamo ritrovati a fare anche noi, riconoscendo Dio e noi stessi in un momento, un’occasione o, in qualche caso, in una vita intera.
E tu? L’hai mai incontrato Dio? E se è successo, l’hai riconosciuto? Sei riuscito a bloccarlo in una fotografia che hai conservato nell’archivio della tua memoria? Ma soprattutto, sei mai riuscito a prendere la sua forma? Ti sei mai riconosciuto a sua immagine e somiglianza?
Orvieto ci ha lasciato questo: la sensazione di aver portato a casa un album fotografico, ricco di riflessioni, di sguardi, di parole che non sanno volare via con il vento. E’ stata l’ulteriore piccolo pezzo di un puzzle che un giorno ci dirà chi siamo stati ma soprattutto chi siamo diventati…
E’ stato un incanto staccare la spina, riscoprirsi e riconoscersi, farsi spalla, sulla quale lasciare che gli altri si poggino. Ancor più incantevole arrivare a scoprire che esiste, da qualche parte, un’altra spalla sulla quale poggiarsi e grazie alla quale “il dolore TACE”
Tonia
Hai mai incontrato Dio? Hai mai incontrato te stesso?
Sono le due domande che hanno fatto da filo conduttore al fine settimana per operatori pastorali che si è tenuto ad Orvieto dal 17 al 19 aprile e a cui hanno partecipato una trentina di “più o meno” giovani tra educatori di Azione Cattolica, catechisti, operatori dell’Associazione “il Prossimo e il Futuro” e del Centro Sportivo Italiano.
Durante la prima giornata, l’interrogativo sul nostro incontro con Dio proposto dal parroco don Carmine che guidava questa esperienza, ha permesso a tutti noi di soffermarci sull’importanza della Sua presenza nella nostra vita quotidiana e, ancor di più, a farci ritornare alla mente uno o più momenti in cui, per un motivo o per un altro, l’incontro con Lui è stato talmente forte da non poter essere altro che “reale”.
Molti degli operatori hanno raccontato di incontri avvenuti in momenti di dolore o di sofferenza personale o di una persona cara, ma ci sono state anche testimonianze di una presenza forse meno evidente perché non manifestasi in maniera plateale, ma sicuramente più dolce e rassicurante perché costante nel tempo e non bisognosa di gesti eclatanti, ma di piccoli particolari che hanno il dono di rendere speciali anche momenti che possono sembrare banali: un sorriso, un abbraccio anche solo uno sguardo…
La presenza di Dio, che è Amore, come l’amore è un fuoco che scalda e illumina a lungo, non che incendia e distrugge in una vampata, è un focolare a cui ci si avvicina con la sicurezza della certezza del benessere che si proverà grazie al suo tepore, non con la paura della possibilità di bruciarsi perché ci siamo avvicinati troppo…
Questa presenza si è resa ancora più evidente quando, nel pomeriggio del sabato, gli operatori pastorali hanno incontrato due giovani donne della nostra Diocesi che hanno deciso di consacrare la propria vita a Dio, indossando l’abito delle Clarisse nel Monastero del Buon Gesù.
L’aspetto che più ha colpito di suor Chiara Benedetta e suor Grazia (originarie, rispettivamente, di Meta e Castellammare di Stabia), al di là delle parole incentrate su alcuni incontri di Gesù con i discepoli e in particolare sull’atteggiamento delle donne nel corso di questi incontri, è stata l’evidente serenità che manifestavano e che trasmettevano a tutti, una gioia di vivere che noi che viviamo al di fuori di quella che potrebbe essere vista come una prigione, seppur volontaria, difficilmente riusciamo a capire e che ha lasciato in molti dei presenti più di un interrogativo.
La seconda giornata si è invece sviluppata intorno alla seconda domanda e sulla riflessione in merito alla percezione che gli altri hanno di noi e come noi, di riflesso, viviamo questa percezione; anche in questo caso le risposte sono state le più diverse, ma molti hanno testimoniato una certa difficoltà a far arrivare agli altri, anche persone vicine, il proprio “io” e quelle che sono le nostre vere intenzioni e i nostri veri sentimenti, mettendo in atto, in alcuni casi, dei veri meccanismi di difesa che, nel tentativo di compiacere gli altri, ci portano a cambiare noi stessi, facendoci diventare diversi da quelli che in realtà siamo, arrivando alla sensazione che probabilmente siamo proprio noi quelli che meno riusciamo a riconoscerci.
Il bilancio finale parla di una tre giorni sicuramente bella e intensa, in cui se gli “incontri” erano il tema centrale, i momenti più forti sono stati sicuramente quelli in cui ci siamo permessi di incontrarci vicendevolmente, sia raccontando di sé nei momenti di riflessione, sia parlando di sé con gli atteggiamenti che ci caratterizzano e che ci identificano, fossero questi anche dei ritardi o delle battute che possono sembrare inopportune: il bello dello stare insieme è dato anche dall’essere sé stessi, senza pensare troppo a quello che pensano e dicono gli altri, cosa che quando siamo lontani da casa ci riesce meglio e più naturalmente, quasi che la luccicante atmosfera sorrentina ci costringa a rinchiuderci in una “clausura dell’apparenza” che non ci permette di essere quello che veramente siamo.
Vincenzo